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Marzo 6, 2020

Inadempimento contrattuale e impossibilità della prestazione

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La diffusione del Coronavirus e la conseguente adozione di provvedimenti urgenti per il suo contenimento stanno incidendo in modo pesante sulla normale operatività delle imprese italiane, per la repentina contrazione della domanda, per l’indisponibilità della manodopera, la difficoltà nel reperire le materie prime o, ancora, per espressi vincoli e divieti imposti dalla legislazione di emergenza.

Non sarà infrequente, dunque, che le difficoltà si tramutino in impossibilità di adempiere alle obbligazioni contratte.

Inadempimento e responsabilità del debitore

Ai sensi dell’art. 1218 cod. civ. «Il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno, se non prova che l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile».

La norma consente dunque di valutare, al di là del semplice fatto dell’inadempimento, anche la ragione che lo ha determinato.

La causa di forza maggiore

Non esiste nell’ordinamento italiano una definizione puntuale di “forza maggiore”, la quale, secondo dottrina e giurisprudenza formatesi sul punto, deve presentarsi come un impedimento non imputabile in alcun modo al debitore, assoluto, avente carattere oggettivo, straordinario e imprevedibile, tale da rendere vano ogni sforzo volto al suo superamento.

A livello internazionale, invece, è possibile rinvenirne la definizione in alcuni testi normativi, come ad esempio la Convenzione di Vienna sulla Vendita Internazionale di Beni Mobili dell’11/04/1980 (che ne individua le caratteristiche principali in non prevedibilità dell’evento alla conclusione del contratto, estraneità alla sfera di controllo del debitore, insormontabilità) o la ICC Force Majeure Clause 2003 – ICC Clause, che indica anche una lista di eventi il cui insorgere costituisce causa di forza maggiore: tra questi, guerre, ribellioni, terremoti, atti di terrorismo e anche epidemie.

La giurisprudenza definisce l’epidemia come una malattia contagiosa e diffusa, di durata cronologicamente limitata che colpisce un numero elevato di persone ed un’estensione territoriale di una certa ampiezza (Tribunale Bolzano, 13/03/1979, in Giur. di Merito, 1979, 945; conforme Tribunale Savona, 06/02/2008, in Riv. Pen., 2008, 6, 671; Tribunale Trento, 16/07/2004, in Riv. Pen., 2004, 1231).

È dunque possibile che un’epidemia costituisca causa di forza maggiore e, dunque, una circostanza eccezionale, inevitabile, imprevedibile e insuperabile, che non sia attribuibile ad una delle parti e che determini una impossibilità di eseguire la prestazione.

Il factum principis

Si parla di factum principis quando provvedimenti legislativi o amministrativi emanati dopo la conclusione del contratto rendano oggettivamente impossibile eseguire la prestazione. A tal fine, questi provvedimenti devono essere imprevedibili al momento della conclusione del contratto, secondo la comune diligenza (ex multis, Cass. 08/06/2018, n. 14915, in CED Cassazione, 2018) e del tutto estranei alla volontà del debitore (Cass. 19/10/2007, n. 21973, in Mass. Giur. It., 2007).

È, dunque, ben possibile considerare factum principis la legislazione d’emergenza emanata nelle ultime settimane, contenente misure di contrasto alla diffusione del Coronavirus (Covid-19). Si pensi, ad esempio, alla delimitazione territoriale della cosiddetta zona rossa, alla sospensione di eventi anche sportivi e culturali, alla chiusura di determinati esercizi commerciali.

Impossibilità della prestazione

Ai sensi dell’art. 1256 c.c., in caso di impossibilità definitiva della prestazione per causa non imputabile al debitore, l’obbligazione si estingue e dunque:

  • il debitore non è responsabile per l’inadempimento, ex art. 1218 c.c.;
  • l’obbligazione si estingue, ex art. 1256 c.c.;
  • nei casi di contratti con prestazioni corrispettive, la parte liberata per sopravvenuta impossibilità non può chiedere la controprestazione e deve restituire quella già ricevuta, ex art. 1463 c.c..

Una impossibilità soltanto temporanea, invece, non estingue ma sospende l’obbligo di prestazione, escludendo altresì la responsabilità per il ritardo. Lo stesso art. 1256 c.c., al comma 2, stabilisce infine che l’obbligazione si estingue se l’impossibilità, pur non definitiva, perdura fino a quando il debitore non possa più essere ritenuto obbligato ad eseguire la prestazione o il creditore non abbia più interesse a conseguirla.

Il carattere definitivo o temporaneo dell’impossibilità deve necessariamente essere valutato caso per caso, in relazione alla natura e all’oggetto del contratto e agli interessi delle parti.

Si prenda ad esempio il caso di un fornitore che debba consegnare una certa quantità di merci presso un Comune sito all’interno della cosiddetta Zona Rossa, ove dunque non sia in alcun modo possibile accedere. Tale impossibilità determinerebbe la sospensione dell’obbligo di prestazione, almeno sino alla cessazione dello stato di emergenza oppure sino al venir dell’interesse alla prestazione (perché, ad esempio, le merci potrebbero non essere più utilizzabili dopo un certo periodo di tempo): in tal caso, l’obbligazione si estinguerebbe.

L’eccessiva onerosità sopravvenuta

Potrebbe infine verificarsi l’ipotesi, in particolare nel caso di contratti a esecuzione continuata o periodica o, ancora, differita, in cui la prestazione di una delle parti sia ancora possibile, ma sia divenuta eccessivamente onerosa per il verificarsi di eventi straordinari e imprevedibili: ai sensi dell’art. 1467 c.c., la parte che deve eseguire tale prestazione potrà domandare la risoluzione del contratto.

La norma non detta una definizione di “eccessiva onerosità”, che secondo la giurisprudenza deve essere valutata con criteri rigorosamente oggettivi e distinta dalla mera difficoltà di adempimento, essendo legata ad avvenimenti straordinari ed imprevedibili e nei limiti in cui imponga all’obbligato un sacrificio economicoche eccede la normale alea del contratto (da valutarsi caso per caso).

A differenza di quanto avviene per l’impossibilità, l’eccessiva onerosità sopravvenuta non produce un effetto liberatorio automatico – e, dunque, la risoluzione di diritto del contratto – ma richiede l’intervento del Giudice. La parte cui è domandata la risoluzione, in ogni caso, può evitarla offrendo di modificare equamente le condizioni del contratto.