È illegittimo, per violazione del principio di proporzionalità e adeguatezza, il sequestro a fini probatori di un sistema informatico – quale è un personal computer – che conduca, in difetto di specifiche ragioni, ad una indiscriminata apprensione di tutte le informazioni ivi contenute.
Il principio, già affermato nel 2015 (Cass., n. 24617/2015, Rizzo) e nella più recente sentenza n. 4857 del 14 novembre 2018 – 30 gennaio 2019, è stato riaffermato dalla Corte di Cassazione, Sez. VI Penale, con la sentenza n. 31593 del 2 – 17 luglio 2019 (Pres. Mogini – Rel. Aprile).
Il sequestro
Il Pubblico Ministero presso il Tribunale di Roma aveva disposto, unitamente alla perquisizione in una serie di immobili, il sequestro di “documenti, manoscritti, comunicazioni, anche contenuti su supporti informatici, telefoni cellulari, dispositivi elettronici, tablet, pc e simili”, concernenti i rapporti tra i soggetti sottoposti ad indagini. Il decreto era stato poi confermato dal Tribunale con ordinanza, contro la quale le parti ricorrevano alla Corte di Cassazione.
Principio di proporzionalità
La Corte ha riaffermato nel provvedimento in esame la illegittimità di un sequestro a fini probatori che conduca ad una indiscriminata apprensione di tutte le informazioni contenute in un sistema informatico.
L’argomentazione muove dal presupposto per il quale, tenuto conto delle enormi potenzialità di archiviazione, non è possibile equiparare un computer – anche se destinato soltanto ad uso personale – ad un documento o ad un gruppo di documenti, essendo esso piuttosto assimilabile ad un intero archivio, un deposito o una libreria in senso fisico. Deve, dunque, applicarsi anche in questo caso il principio di proporzionalità – previsto espressamente all’art. 275 c.p.p. per le misure cautelari personali e operante anche per le misure reali – a maggior ragione a seguito delle modifiche apportate al codice di rito dalla Legge 48/2008, in materia di criminalità informatica.
Si prendano in considerazione, infatti, gli articoli 247 comma 1 bis e 352 comma 1 bis c.p.p. in materia di perquisizioni, riformati proprio dalla suddetta Legge 48/2008. A norma del primo, “quando vi è fondato motivo di ritenere che dati, informazioni, programmi informatici o tracce comunque pertinenti al reato si trovino in un sistema informatico o telematico, ancorché protetto da misure di sicurezza, ne è disposta la perquisizione, adottando misure tecniche dirette ad assicurare la conservazione dei dati originali e ad impedirne l’alterazione”. Lo stesso afferma l’art. 352 comma 1 bis c.p.p., in materia di perquisizioni di sistemi informatici o telematici in flagranza di reato e, dunque, in assenza di un preventivo decreto del pubblico ministero.
La lettera delle due citate norme, dunque, chiaramente distingue il singolo documento informatico dalla massa di informazioni che un sistema informatico o telematico è destinato a contenere. Ne consegue che il computer, o più generalmente il sistema, deve dapprima essere sottoposto ad una perquisizione mirata, all’esito della quale potrà sequestrarsi quanto di rilievo, non potendosi invece ritenere legittima, se non accompagnata da specifiche ragioni, una indiscriminata acquisizione dell’intero contenuto.
Ciò, ovviamente, non esclude la possibilità di disporre un sequestro esteso all’intero sistema, se sussistano particolari ragioni e se ciò sia proporzionato rispetto alle esigenze probatorie, né, d’altra parte, può essere per principio vietato il trasferimento fisico dell’apparecchio (affinché si possa, ad esempio, procedere a perquisizione in un luogo più opportuno o per la necessaria disponibilità di personale o materiale tecnico). Ciò che non è possibile, invece, è acquisire in modo indiscriminato un intero archivio elettronico, “sol perché è facile l’accesso, l’effettuazione di copia ed il trasferimento fisico rispetto alla massa di documenti cartacei corrispondenti, pur in assenza di qualsiasi correlazione specifica con le indagini”, come nel caso specifico rilevato dalla Corte.
La sentenza
Il Tribunale del Riesame, a fronte della doglianza formulata dalla difesa per l’acquisizione di tutto il contenuto del sistema informatico, aveva ritenuto che la mancata effettuazione, da parte della polizia giudiziaria, di una preventiva perquisizione è problema che attiene alla fase esecutiva del sequestro, censurabile in una sede differente dal riesame cautelare. Così motivando, tuttavia, il Tribunale non aveva, secondo la pronuncia in esame, rispettato i criteri ermeneutici fissati in materia. Per questo motivo, la Corte di Cassazione ha annullato l’ordinanza con rinvio al Tribunale di Roma, specificando la necessità di attenersi ai principi di diritto enunciati.
Note
Il testo della Convenzione di Budapest del Consiglio d’Europa del 23 novembre 2001, ratificata dall’Italia con la L. 18 marzo 2008, n. 48 è disponibile sulla Gazzetta Ufficiale n. 80 del 4 aprile 2008, Serie Generale, rinvenibile al presente link.
Sul sequestro di interi archivi informatici contenenti dati potenzialmente rilevanti ai fini della prosecuzione delle indagini cfr. Cass., Sez. VI, 11 novembre 2016, n. 53168, Amores, Rv. 268489.
Sul principio di proporzionalità e adeguatezza nel sequestro di sistema informatico, si vedano Cass. Pen., Sez. VI, 24 febbraio 2015 (dep. 10 giugno 2015), n. 24617, Pres. Milo – Rel. Di Stefano e Cass. Pen., 14 novembre 2018 (dep. 30 gennaio 2019), n. 4857, Pres. Fidelbo – Rel. Bassi, di cui avevamo già parlato qui.